lunedì 21 febbraio 2011

La nave per Kobe


La Nave per Kobe diari giapponesi di mia madre di Dacia Maraini
Topazia Alliata Maraini ha annotato nei suoi taccuini le tappe del lungo viaggio per nave verso Kobe (Giappone), nel 1938 e i piccoli grandi eventi familiari di quegli anni che riguardano la vita delle figlie: Dacia, poi Yuki e Toni. Una preziosa testimonianza, affidata a pagine ormai ingiallite e vecchie fotografie in bianco e nero, che Dacia Maraini ha voluto pubblicare quando il padre Fosco, ritrovati per caso quei quaderni, glieli ha regalati dicendole “Ti riguardano, prendili”.

In quelle righe essenziali e a tratti commoventi che sua madre scriveva, trapela la bellezza e l’intensità del legame madre-figlia, a cui si aggiungono i commenti e le riflessioni della Dacia di oggi, figlia ormai sessantenne che cerca di dare un ordine ai propri ricordi di bambina.

E’ affascinante perché in questo libro si trovano, mescolati insieme, i pensieri di una madre, quelli di una bambina e quelli della stessa bambina diventata adulta. L’effetto che si ottiene è quello di illuminare quello speciale rapporto a due di volta in volta con luci che provengono da riflettori diversi. Lo stimolo che se ne riceve è quello di intraprendere la propria personale ricerca, appuntando, se non per iscritto, almeno in un immaginario taccuino mentale, i propri personali ricordi d’infanzia.

Inverno 1938. Dacia ha poco più di un anno.

(In corsivo le parole della madre Topazia, segue poi il commento di Dacia)
Dacia occupa tutto il mio tempo perché non mi vuole lasciare un minuto (mi segue anche al gabinetto!) e non si addormenta se non con me. A momenti mi avvilisco, ma spero di farle cambiare abitudini. Adesso è ancora nervosa del movimentato viaggio interminabile.
Questa dipendenza corporea mi intenerisce. Mi fa pensare a quelle immagini che vediamo sullo schermo quando ci raccontano storie di scimmie che corrono fra i rami delle foreste africane: la madre agile che si aggrappa alle fronde con la coda ritta, portandosi dietro, avvinghiata al dorso, una scimmietta dal pelo nuovo e lanuginoso. C’è una fisicità nel rapporto madre-figlia che nulla al mondo potrà modificare e lega i due corpi, quello più piccolo a quello più grande, in un abbraccio naturale, anche quando sono lontani e non si vedono, e ripete simbolicamente il primo tepore di una abitazione buia, primordiale.

Il corpo che si presenta all’immaginazione confusa di un bambino quando nasce, è quello della madre. Una montagna misteriosa, che lo sovrasta, lo acquieta, lo nutre e gli incute anche paura. L’ebbrezza di quel latte che scende in gola, attraverso il tepore di un capezzolo, che è cuscino e tazza nello stesso tempo…come sostituirlo?” (pagg. 63-64)

Un altro passaggio.
“Da piccola odiavo il mio nome troppo inusuale per una bambina. I ragazzini, si sa, sono conformisti. Non capiscono il piacere di essere diversi, di differenziarsi, sia pure solo per il nome. Probabilmente perché sono ancora troppo fragili per reggere una posizione che li allontana dalla norma. La mia massima aspirazione era allora di non distinguermi in niente dagli altri, ma si trattava di un puro desiderio perché continuamente inciampavo nella mia diversità: una famiglia laica, dei viaggi precoci, le traversate degli oceani, una esperienza di campo di concentramento, la fame, i nomi stravaganti: Fosco, Topazia, Yuki, Dacia*, tutto fuori dall’ordinario.

Avrei voluto chiamarmi Maria, essere bruna con gli occhi neri, avere due genitori tranquilli, un padre che uscisse ogni mattina per andare al lavoro e una madre grassa e rassicurante. Queste erano le famiglie delle mie compagne di scuola, sia prima in Giappone che poi in Italia. Invece mio padre era sempre in viaggio per i suoi studi etnologici, mia madre aveva la mentalità di una diciottenne, innamorata di noi ma così poco simile alle altre madri; nelle nostre stanze non c’erano bambole, ritratti di santi, libri di devozione, ma riproduzioni di Picasso, di Matisse. Sugli scaffali carichi di libri non trovavi romanzi rosa o inutili enciclopedie, ma Proust e Dostoevskij, Virginia Woolf, Henry James e Svevo”. (pag. 120)
* Fosco è il nome del padre di dacia Maraini, di origini fiorentine, Topazia è la madre, di origini siciliane, mentre Yuki è la sorella minore.

Mi viene in mente Maira, che la sera per addormentare Anna, le legge a letto poesie di Leopardi…Che tenerezza la piccola, che le dice, “Leggi, però non chiedermi nulla mamma”, perché ovviamente non è in grado di afferrarne il senso, ma io sono sicura che la musica di quelle strofe la incanti e la faccia scivolare deliziosamente nel sonno e nella notte.

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