martedì 22 febbraio 2011

La nave per Kobe 2

Ancora qualche citazione da La nave per Kobe.
Gennaio 1941. La madre di Dacia Maraini descrive il periodo in cui Dacia si ammala e in venti giorni ha una dopo l’altra, otite, febbrone, tonsillite, una temuta difterite, reazione all’iniezione anti difterite, poi infine un’orticaria. Topazia si dedica notte e giorno alla figlia malata, restandole sempre accanto. “Povera figliuzza. Ancora non uscita da quasi 20 giorni ma non ha febbre”.
Commenta Dacia: “C’è tanta apprensione e tanta tenerezza in questo curvarsi di madre sul corpo della figlia malata da esserne appagata per una vita intera. Se non fossi stata così ben nutrita dal suo affetto come avrei potuto sopportare il campo di concentramento, la fame, i vermi, le pulci, le bombe, i terremoti e ancora la fame, la fame nera?
Nonostante la visione drammatica delle cose, ho un fondo di ottimismo che sicuramente mi viene da quelle prime grandi esperienze d’amore materno”. (pag. 124)

Secondo me è bellissima questa riflessione della Maraini. Anch’io sono convinta che i bambini quando sono piccoli vadano riempiti d’amore, di affetto, di cure. E penso che non ci siano misure per questo darsi dei genitori: non è mai troppo. Così non penso che si vizino i bimbi se a un anno ancora li si allatta, si pratica il co-sleeping (magari anche dopo l'anno), perché si sente semplicemente che è un loro bisogno. Non un capriccio, ma un bisogno di contatto, di vicinanza, di calore. Ci sono bambini che rifiutano pupazzetti e peluche, se si prova, la notte, a mettergliene uno vicino, lo buttano via e si acquietano solo se sentono il corpo della mamma o del papà vicino al loro. Nessun oggetto transizionale, insomma, nessun surrogato dell’originale.
Non capisco nemmeno le persone che dicono che i bambini non si debbono tenere troppo in braccio perché così facendo li si vizia. Le cose potrebbero essere viste da un altro punto di vista: lì dove per alcuni c’è il vizio, ci può essere invece la risposta ad un reale bisogno d’amore, che esige di essere riconosciuto come tale e merita una risposta adeguata. Esiste una corrente, ancora minoritaria, di esperti e di genitori ad abbracciare queste idee. Ad esempio, il pediatra spagnolo Carlos Gonzalez, quello americano William Sears, i pediatri che scrivono sulla rivista UPPA. Si tratta di concetti agli antipodi con la filosofia del “Fate la nanna”, o metodo Estivill, come lo si voglia chiamare. E’ un punto di vista diverso, ma che però ha un suo pregio.
Comunque, per tornare alle parole della Maraini, anch’io sono profondamente convinta che ai bambini vada donato con abnegazione infinito amore, che costituirà una riserva da cui attingeranno tutta la loro vita e che sarà per loro fonte di sicurezza emotiva, di autostima, di fiducia in se stessi e negli altri, di capacità di amare a loro volta.
Oggi c’è molta attenzione allo sviluppo delle capacità intellettuali dei bambini, alle loro prestazioni scolastiche e di apprendimento, molto meno invece a quelle capacità che attengono l’emotività, al saper gestire le proprie ed altrui emozioni. E poi ci si meraviglia che gli adolescenti di oggi, hanno difficoltà a dare voce al proprio vissuto emotivo, non sanno dare un nome a quello che provano ecc. (in realtà gli adolescenti da che mondo e mondo hanno avuto questi problemi, come hanno sempre avuto difficoltà nel comunicare con gli adulti, ma queste cose sono del tutto normali ed anche sane da un certo punto di vista perché sono tappe essenziali per la crescita individuale come persona; il problema è che quest’incapacità di relazionarsi con la propria emotività permane anche oltre l’adolescenza e molte perone se lo portano dietro per una vita intera). Non so se le cause possono ritrovarsi nella primissima infanzia e nell’approccio avuto dai propri genitori, ma è una domanda che per lo meno potremmo porci, prima di assumere scontatamente un metodo educativo (quello più diffuso, quello che è frutto della cultura dominante) come il migliore in assoluto. Un po’ di sana critica non guasterebbe, poi ognuno dovrebbe scegliere con la propria testa, ascoltando il proprio vissuto, il proprio cuore e alla luce di tutto questo decidere infine la cosa migliore per i propri figli. Chiunque abbia figli sa quanto sia difficile…è molto più facile parlare che fare…
Un’ultima cosa: ho notato che lo stare bene emotivamente favorisce anche l’apprendimento. Sono intimamente convinta che la tranquillità interiore, la serenità, la fiducia nei propri genitori, il sentirsi profondamente e immensamente amati, offra quella base essenziale sopra cui costruire tutti i castelli del mondo: conquiste intellettuali, conoscenze, abilità le più diverse. Se abbiamo un problema “dentro di noi”, siamo arrabbiati, o ansiosi, o in preda ad un’antica angoscia, è molto probabile che molte delle nostre energie interiori se ne vadano a curare questa nostra pena e che quindi , nel complesso, vi sia uno spreco di energie, che potrebbero essere molto più felicemente utilizzate in altre attività. Sapere che uno sguardo amorevole e fiducioso è posato su di noi ci fa affrontare anche le sfide più difficili, perché ci trasmette sicurezza e coraggio.

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