martedì 31 maggio 2011

Multitasking, disoccupazione giovanile, giardini d'infanzia

Non sono una fun del multitasking. Anche se va molto di moda e spacciata come abilità di cui andar fieri. Sebbene in via di principio io possa apprezzare la capacità nelle persone di eseguire contemporaneamente più compiti, poi mi capita di verificare come nella realtà sia molto difficile riuscire ad eseguire con la dovuta precisione e diligenza quegli stessi incombenti. Sebbene in astratto non possa che apprezzare la versatilità e la capacità di adattamento ai ruoli più diversi, in concreto osservo sempre più spesso che questo prestarsi a fare più cose, questo ostinarsi talvolta a seguirne contemporaneamente più d’una, inevitabilmente conduce ad una caduta della qualità nel lavoro. E questo semplicemente per il fatto che non è possibile mantenere su più piani contemporaneamente lo stesso livello di concentrazione. Fra due attività devo scegliere quale privilegiare, a quale delle due dedicare maggiormente la mia attenzione. E comunque, agendo io su più livelli, non potrò mai conservare la concentrazione al massimo livello: la devo necessariamente dividere. E ogni divisione comporta una perdita, e ogni perdita una mancanza di qualità.
Si dice che le donne siano naturalmente più multitasking degli uomini. Avranno fatto anche degli studi, non lo so, non me intendo. A me sembra che l’essere multitasking sia più il frutto di una necessità, di un non poter fare altrimenti, per mancanza di aiuti, per mancanza di tempo. Personalmente constato che se devo occuparmi di un bambino piccolo mi è materialmente impossibile svolgere le faccende di casa, anche solo cucinare. Lo devo fare, spesso, per necessità, ma il risultato è che il tempo trascorso con il bambino è di scarsa qualità e il più delle volte quel che cucino è o bruciato, o senza sale, o stracotto. E lo stesso ragionamento lo posso applicare anche alle attività che mi trovo a dover svolgere al lavoro o nel tempo libero. Se affronto una cosa per volta il risultato sarà molto buono, talvolta eccellente. Se invece sparpaglio il mio pensiero e le mie energie su più piani, anche se alla fine dovessi riuscire a portare tutto a termine, la qualità del lavoro sarebbe mediocre.
Sento alla televisione un rapporto sull’elevato tasso di disoccupazione dei giovani italiani. Poi sento anche dire che i giovani italiani che hanno studiato e decidono di lasciare il paese per trovare il lavoro sognato all’estero hanno grandi soddisfazioni e incontrano il riconoscimento che in patria viene loro negato. In buona sostanza in Italia si allevano egregiamente cavalli di razza ma non li si fa gareggiare. Si tengono nelle scuderie a deprimersi, ad assistere a tornei da cui sono esclusi e in cui vedono correre costantemente i loro predecessori, ben contenti di non lasciare l’arena. Se a qualcuno non piace la metafora dell’allevamento equino, in quanto dal sapore troppo competitivo e disumanizzante, il concetto si può esprimere in altre parole: siamo il più grande ed efficiente giardino d’infanzia d’Europa. Cresciamo giovani intellettualmente brillanti, pieni di capacità ed inventiva, che presto si imbarcheranno su un aereo e ci saluteranno dal finestrino. Bye-bye Italia, spicchiamo il volo verso altri lidi, qui ci è impedito volare.
Cosa c’entra il multitasking con il giardino d’infanzia e la disoccupazione giovanile?

C’entra. Una persona che mi è molto vicina mi ha fatto notare recentemente un fatto. Vi è in Italia un proliferare di cariche e incarichi pubblici, semi pubblici e privati che vengono spartiti tra poche persone, per la stramaggioranza di casi ormai persone di una certa età e raramente con un cursus honorum confacente al posto ricoperto. Sindaci che sono anche nel consiglio di amministrazione della tal azienda pubblica, professori che sono presidenti della tal altra azienda e via discorrendo. Così vi sono migliaia di persone che ricoprono decine di cariche (dopo la prima tutte le altre assegnate perché già si è, prestigiosamente, da qualche parte) e che sono presenti ovunque come il prezzemolo.

Ma, mi chiedo, come fanno a seguire diligentemente tutti gli enti cui appartengono? Come fanno a dedicare loro tutta la loro concentrazione, la loro sapienza, il loro impegno? La giornata è pur fatta di ventiquattr’ore per tutti. Non essendoci né superman né wonderwoman, lo capisce chiunque che alla fine questi incarichi si risolvono in qualcosa di esclusivamente formale, cui però, guarda caso, corrisponde spessissimo anche un compenso in moneta sonante. E compenso più compenso più compenso…alla fine si creano quelle odiose rendite di posizione che oggi per un giovane che si affaccia al mondo del lavoro è impossibile scalfire.

Così, partendo dal privato, da considerazioni se volete anche di psicologia spicciola, sono giunta a considerazioni di natura sociologica. Perché questo attaccamento gerontocratico ai posti di lavoro? Perché non si rinuncia ad una poltrona in un ente pubblico che ha bisogno di far quadrare i conti e di essere efficiente sul piano dei servizi erogati al cittadino e non la si affida ad un giovane capace laureato in economia? E’ solo un esempio, ma tanti altri se ne potrebbero trovare. Chi ci guadagnerebbe? I giovani, intanto, perché troverebbero un lavoro e potrebbero realizzarsi. E poi l’Italia, la quale verrebbe guidata dal sapere e dalla competenza, beni tanto agognati ma mai così bistrattati. Una cosa è certa: alla fine il multitasking mi è ancora più antipatico di quanto già non lo fosse quando ho iniziato a scrivere.

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